“Santa famiglia, sacrario di buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo” – Paul, Ultimo Tango a Parigi. Questo monologo mi torna prepotentemente alla memoria già dalle prime righe di lettura del romanzo Dove siamo stati bene di Edelweiss Ripoli. E penso a quanto è vero che grazie alle storie degli altri e la loro diversità riusciamo a comprendere la nostra.
Nella storia di una famiglia costruita su un patto tra due genitori mai divenuti davvero adulti e sul conflitto tra una sorella e un fratello resi precocemente adulti, la Ripoli mette in scena temi portanti della società che attraversiamo: l’assenza di una educazione alla genitorialità; i rigidi ruoli di genere interpretati come soluzione ai disagi quotidiani, al bisogno di essere amati, accettati e accolti, per ciò che si è. Soprattutto l’urgenza del riconoscimento come desiderio che la stessa Ripoli custodisce non solo per i suoi protagonisti, ma anche per tutte noi lettrici e lettori.
MM: Quali sono gli argomenti che ti interessano come scrittrice e di conseguenza com’è nata l’idea del romanzo?
ER: Mi interessano i rapporti umani, i sentimenti e l’evoluzione o involuzione personale. Raccontare una famiglia mi è sembrato il modo migliore per racchiudere in un’unica storia questi argomenti.
MM: I tuoi personaggi sembrano incarnare almeno due approcci diversi alla vita e alla morte. In quale ti riconosci di più? Secondo te come stiamo messi oggigiorno (ancora in piena pandemia) a rapporto con la morte?
ER: Non sono una che sfugge. Mi piace la verità, anche se non è piacevole, perché solo così posso fare i conti con la realtà e quindi con me stessa. La morte si deve dire. Proprio come la nascita. Se dico, elaboro e accetto. Proprio come fa Lorenzo nel libro.
Il rapporto con la morte: ho la sensazione che con la pandemia si sia persa la sacralità del momento. Un morto, due morti, o cento, che siano parenti, amici, conoscenti è diventata cosa vicina – nel senso che per ogni defunto pensiamo che sarebbe potuto toccare a noi – ma al contempo distante – proprio perché non è toccato a noi.
Il lutto, la sua elaborazione, la vicinanza sia fisica che emotiva sono stati sostituiti da gesti freddi, penso a un whatsapp o una email.
E di conseguenza anche la nascita ha perso valore. La vita in generale. Mi sembra che pochi ormai si preoccupino delle conseguenze delle proprie azioni, molti eventi sono lasciati al caso e ci si accorge che si poteva cambiare strada, agire diversamente, solo quando è troppo tardi. Esco probabilmente un po’ fuori dalla domanda, ma c’è una cosa che mi preme dire, chissà, forse con la pandemia e i novax mi sono indurita, ma ecco, ci tengo a dire che non siamo sempre in tempo. E che dovremmo imparare a riconoscere meglio i bivi.
MM: La lettura di “Dove siamo stati bene” mi ha portato alla memoria la scena del film “Ultimo tango a Parigi” quando Paul (Marlon Brando), durante la famosa scena di violenza sessuale, dice: “Voglio farti un discorso sulla famiglia: quella santa istituzione inventata per educare i selvaggi alla virtù… E adesso ripeti insieme a me […]: santa famiglia, sacrario di buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo.” Condividi questa definizione di famiglia?
ER: La condivido nel senso che la riconosco. Mi è capitato di vederne. E sinceramene mi affascino, lì c’è sempre materiale narrativo.
Fuori dalle pagine, ammiro le famiglie sane, dove per sane intendo non certo quella del Mulino Bianco ma famiglie in cui si comunica e in cui si ha la voglia di comprendere l’altro.
MM: Nel romanzo l’oppressione di genere è narrata con estrema efficacia. Negli ultimi anni abbiamo conosciuto una nuova ondata di femminismo, inclusivo e intersezionale. Qual è il tuo rapporto con questo movimento?
ER: Io sono per l’essere umano. Le definizioni mi spaventano perché, per me, ingabbiano. Mi interessa la persona nella sua sensibilità e nel suo pensiero unico.
Certo, ammetto che noi donne facciamo ancora un po’ fatica a essere riconosciute. Evito i vari cliché e vado dritta al punto: ogni giorno dobbiamo dimostrare qualcosa che agli uomini, per il solo fatto di essere uomini, non è chiesto di dimostrare; e nessuno ci facilita la vita. Anzi.
Però, nonostante tutto, continuo a essere sostenitrice dell’essere umano in ogni sua forma.
5. Che lettrice sei? Come ti approcci all’oggetto-libro e quali sono gli autori o le autrici più importanti per te?
ER: Qui devo fare un prima e un dopo. La linea di demarcazione me l’ha data la scrittura. Prima del libro mi interessava la trama e che quella trama corrispondesse a un mio stato emotivo; e non provavo dispiacere nell’ammettere che un libro non mi piacesse. Oggi, sì, Oggi anche se un libro non è nelle mie corde, per trama o stile – perché iniziando a scrivere ho iniziato a capire che dietro ogni trama c’è uno stile, una struttura, un tono, un determinato lessico – cerco comunque di terminarlo perché so il lavoro che c’è dietro, il tempo e le energie che l’autore o l’autrice ha dedicato a quel testo. E gli sforzi meritano sempre attenzione.
Ho due autori di riferimento: Richard Yates e Raymond Carver.
Ammiro profondamente la prosa di Elisa Ruotolo.
Amo Paul Auster, Irvin Yalom, Domenico Starnone e Simone De Beauvoir.
Ma sostanzialmente amo chi mi dice la verità senza troppi filtri.
Note biografiche
Edelweiss Ripoli, nata a Roma nel 1982, è una farmacista. Vive a Rende, Cosenza.
Ha pubblicato alcuni racconti corti e lunghi e, nel 2017, pubblica il suo primo romanzo Libere per l’Erudita Editore, marchio della Giulio Perrone Editore.
Dal 2020, collabora con la rivista Risme.
Sinossi di Dove siamo stati bene
Ogni famiglia segue uno schema, e ogni componente ripropone un copione che si tramanda da generazioni.
Un fratello e una sorella, seppur nati dagli stessi genitori, hanno a che fare con genitorialità diverse. Per comprendere e sganciarsi dalla propria famiglia è necessario prima conoscerla a fondo.
Lorenzo, per elaborare la sua infanzia, ha bisogno di ripercorrere quella di Sofia, sua sorella maggiore. E quella dei suoi genitori: Alessandra e Matteo.
Alessandra e Matteo sono insicuri, anaffettivi. Da sempre ingabbiati in una vecchia mentalità e in una serie di paranoie cui Sofia finirà per uniformarsi annullando sé stessa.
La storia, che ha inizio dal giorno in cui Matteo e Alessandra si conoscono, è narrata da Lorenzo, il quale assiste alla crescita di sua sorella sperimentando l’impotenza, ma riuscendo comunque a ribellarsi agli schemi familiari.