“Io riesco a sentire la mia complessità / che chiamate stranezza / che chiamate pazzia / la mia mano si muove tra catene e poesia” (La Bugia da Canzoni Per Vivienne – marzo 2018).
Con le radici ben salde nel Lago Maggiore e i rami che accarezzano il mondo, Nicole Stella è pronta per il rilascio del suo terzo progetto discografico dal titolo “Canzoni Per Vivienne”, pubblicato in forma digitale l’8 marzo 2018.
Il concept album è composto da sette canzoni acustiche attraverso cui la cantautrice ripercorre la storia della scrittrice Vivienne Haigh-Wood. Lo storytelling, in prima persona, restituisce giusta fama a una personalità ribelle che ha rastrellato a sue spese temi nodali legati all’esistenza umana quali la solitudine, il potere medicamentoso dell’arte, la diversità socialmente letta come pazzia e l’emarginazione. Non mi succedeva da tempo di commuovermi all’ascolto di un disco, il retrogusto che rimane al primo giro è amaro e tenero allo stesso tempo, e mi sono sentita come all’ultima pagina di un bellissimo libro.
“Il racconto si apre con Le Scale, immagine che ha la doppia funzione di descrivere la nuova vita di Vivienne dopo la separazione da Eliot (quando iniziò a studiare canto e pianoforte) e di rappresentare le difficoltà della sua esistenza. L’Idea ci catapulta già agli anni del manicomio, quando Vivienne, pur in preda a sofferenze fisiche e psicologiche, non perde l’istinto e l’urgenza di scrivere. Gli Amanti, resoconto della storia difficile tra Vivienne e Tom, si concentra sulla tematica più generale delle relazioni di coppia, delle difficoltà che ogni rapporto si trova ad affrontare, ma nell’ottica più specifica di due artisti, che condividono letto e idee. Il Dottore, nel raccontare la sofferenza fisica di Vivienne, aggravata dai trattamenti rozzi dell’epoca, tocca indirettamente il tema della violenza sulle donne. La canzone introduce anche l’idea di Bellezza come antidoto alla sofferenza, tematica che viene sviluppata nella successiva L’Umanità, una sorta di manifesto poetico in cui l’imperfezione e le passioni umane diventano l’unica vera fonte di ispirazione possibile. L’Isteria è la canzone in cui, più evidentemente, risalta la tematica della malattia mentale e di come spesso le persone affette da disagi psichici vengano sottoposte a giudizi e condannate all’incomprensione. C’è anche un accenno alla mistificazione dell’idea di donna libera, un tempo (e purtroppo spesso ancora oggi) bollata con espressioni di “insanità morale”, o altri appellativi ben meno eleganti. La canzone di chiusura, La Bugia, è l’elegia finale di Vivienne, che chiede disperatamente di non gettare via i suoi scritti e di ricordare il suo vero nome, non lo pseudonimo maschile con cui pubblicò in vita, e costituisce una sorta di sintesi dei vari temi affrontati nelle canzoni precedenti.”
Nell’attesa di potermi gustare l’esibizione dal vivo – a Roma il 4 maggio (presso il Westrock Cult– Via delle Fresie 6)- approfitto della disponibilità di Nicole per rivolgerle alcune domande.
- New Day (’agosto 2015), Something To Say (marzo 2017) e Canzoni Per Vivienne (marzo 2018) sono i tre progetti che hai realizzato nella tue carriera di cantautrice. Quali sono i tratti distintivi che li caratterizzano? E quali invece le “esplorazioni” che ti sei concessa per crescere e spaziare?
Si tratta di progetti molto diversi tra loro. New Day è nato quasi per caso. Avevo deciso di pubblicare delle vecchie canzoni scritte da adolescente, ovviamente rimaneggiate un po’. Ero praticamente da sola in studio e quindi me la sono dovuta cavare con ciò che avevo a disposizione, cioè poco più della mia voce. Poi Something To Say doveva essere l’album della svolta, quello in cui mi concedevo di sperimentare di più in termini di sound e in cui collaboravo con altri musicisti, fidandomi dei loro contributi e della loro interpretazione di alcuni brani, ma si trattava ancora di canzoni piuttosto immediate, nonostante spaziassero dal folk all’elettro-rock. Canzoni Per Vivienne, invece, ci ha messo più di un anno a nascere, tra infinite conversazioni con Massimo Ceravolo, il chitarrista e traduttore genovese che mi ha parlato di questa storia per la prima volta e che ha un ruolo centrale nel progetto. Credo che le canzoni, questa volta, siano molto più complesse. Il fatto di impiegare la lingua italiana, ad esempio, da un lato le rende più comprensibili, almeno entro i confini nazionali, ma dall’altro consente di indugiare in riferimenti e suggestioni che potrebbero non essere del tutto capiti.
- Il tuo ultimo album è ispirato alla storia di Vivienne Haigh-Wood, scrittrice di talento al di fuori degli schemi di comportamento imposti dalla società inglese di primo Novecento. Cosa ti ha risuonato della sua vita?
Credo la solitudine, non solo quella in cui si è trovata negli ultimi anni della propria vita, quando fu internata in una clinica e praticamente abbandonata, ma quella un po’ più generica che caratterizza gli artisti o forse semplicemente le persone un po’ più sensibili.
- Ti definisci una cantautrice indipendente. Devo ammettere che dopo la partecipazione di Manuel Agnelli a X Factor questa espressione per me è entrata in una zona grigia. La differenza terminologica e culturale tra Indie e Pop ha ancora un senso secondo te?
Non per come ce la propinano. Non ha più senso nemmeno come distinzione di genere musicale, visto che sempre di più il “Pop” sfrutta sonorità “Indie” e viceversa. Te la faccio breve: per me indie è chi segue un metodo D.I.Y. (acronimo per Do It Yourself, ndr) Sono un po’ fondamentalista in questa definizione, ma se ne sono viste di cotte e di crude (tra cui, appunto, Agnelli a X Factor) e quindi bisogna mettere dei paletti.
Questo non significa che progetti non D.I.Y. non possano essere interessanti, ma se smetti di curare la produzione e la diffusione delle tue canzoni, non sei più indipendente. Mi pare chiaro.
Per quanto mi riguarda, essere indie è una scelta di libertà, nel senso che per diventare “Pop” e cioè mainstream, devi stare alle regole del mercato e sacrificare tante idee e sonorità. Forse non è sempre stato così, ma oggi la situazione è questa. Mi viene in mente Frank Zappa che parla dell’evoluzione del mercato discografico e di come i “ricchi uomini col sigaro” fossero più aperti alla sperimentazione e ai contenuti dei giovani hippie che hanno preso progressivamente il loro posto. Forse aveva ragione lui.
Se poi entriamo nel terreno dei talent, così spesso intrecciati all’industria discografica, ti posso dire, senza mezzi termini, che mi nauseano perché perpetuano l’idea che la musica sia una gara, una competizione, come se fossimo dei cavalli su cui puntare e non persone che cercano di esprimersi attraverso un’idea, una canzone, un testo.
- L’uso dei Social come strumento di promozione quanto è importante e soprattutto efficace? E gli altri canali, come Youtube, Soundcloud?
Per quanto mi riguarda, sono giunta alla conclusione che l’uso dei Social sia importante ma poco efficace, se il fine è costruirti un seguito attraverso di loro. Sembra un paradosso, ma non lo è. Essere sui Social è una condizione imprescindibile per entrare in contatto con chi ti apprezza o potrebbe apprezzarti, ma diventa assolutamente inutile, se non dannoso, forzarne le dinamiche. Casomai i Social devono essere una sorta di “diario pubblico” di ciò che sei e ciò che fai, ma il vero lavoro si fa offline, suonando dal vivo, ad esempio.
Però mi rendo conto che questo discorso non vale per tutti. Se fai trap e il tuo target è l’adolescente che passa la giornata su Instagram, allora può essere che i Social siano uno strumento di promozione più che valido.
- Il tema della condizione femminile è molto presente nel tuo lavoro. Cosa ne pensi della campagna #MeeToo e la successiva #WeeTooGether? Secondo te come mai il mondo della musica italiana non ne è stato ancora scalfito?
Ben vengano i movimenti che cercano di far luce sulla condizione di molte donne, vittime di soprusi e molestie. Purtroppo il discorso è stato un po’ banalizzato, dando molto risalto alle storie di alcune dive del mondo dello spettacolo, forse fiutando il gossip, e finendo a giudicare la condotta morale di questa o quella attrice (fatto già di per sé assurdo). Il problema, invece, riguarda anche operaie, impiegate, professioniste, casalinghe. Anche quando non si verifica una vera e propria molestia, non è così difficile trovarsi di fronte ad un sessismo dilagante, più o meno in tutti i campi.
Per quanto riguarda il mondo della musica italiana, forse è solo questione di tempo.
Per chi volesse ascoltare Nicole da vivo, riporto le date del suo prossimo tour.
(La foto di copertina del disco è di Marco De Waal)