I morti in discoteca a Corinaldo dopo il concerto di Sfera Ebbasta, la battuta sessista verso Ada Hegerberg -vincitrice del primo Pallone d’Oro femminile, il caso Desirée e la narrativa della violenza sulle donne… solo nelle scorse settimane sono tante e complesse le fattispecie capaci di suscitare “mediaticamente” indignazione. Tanta esasperazione trova manifestazione espressiva attraverso i più disparati mezzi di comunicazione; altra resta a covare dentro, senza sollievo. Gaia Benzi, ricercatrice di letteratura italiana e redattrice di Jacobin Italia ha sviluppato tale tema nel dizionarietto Le parole sono importanti (DOTS – Dicembre 2018 – presentazioni in corso ) sottolineando il depotenziamento che ha subito il termine stesso “indignazione”.
Gaia, come mai hai scelto la parola “indignazione” come rappresentativa dell’anno 2018?
Non so se la parola “indignazione” sia rappresentativa proprio del 2018, ma è di sicuro rappresentativa di un periodo – un decennio per la precisione – che ho provato a descrivere in poche battute. D’altra parte l’“indignazione” è un sentimento, non un concetto, perfetto per un’epoca che per orientarsi nel mondo si affida più ai flussi emotivi che alle ideologie o visioni sistemiche. In Italia l’indignazione è una reazione molto diffusa quando si nominano argomenti politici: tutti sono indignati, per un motivo o per l’altro. Mi è sembrato giusto includerla fra le “parole importanti”.
Qual è stato un evento di questo anno che ha scatenato in te un profondo sdegno?
Di eventi non ne sono mancati e non ne mancano mai, purtroppo. Sicuramente la strage continua che avviene nel Mediterraneo non può che provocare un senso di repulsione e nausea. Più che indignazione è vero e proprio disgusto. Quello che sta avvenendo è un crimine contro l’umanità di cui la storia ci chiederà conto.
Cosa può riaccendere oggi i tratti proattivi e propositivi dell’indignazione?
L’indignazione ha una natura reattiva: come dicevo prima, è una risposta emotiva a un evento esterno, priva di per sé di mediazione razionale. È dunque difficile che riesca ad essere proattiva, ma sicuramente la partecipazione – a un movimento, a un progetto, politico, culturale o sociale non ha importanza – può trasformarla in qualcosa di costruttivo. Credo che sia soprattutto la dimensione collettiva ad essere in grado di manipolare i sentimenti e metterli in relazione tra loro, facendone emergere gli elementi sociali e politici. In generale, penso che solo una comunità possa elaborare l’indignazione fino a renderla feconda creatrice di mondi.
Ti viene in mente un libro o un racconto che ha saputo suscitare in te il sentimento dell’indignazione?
Se penso all’indignazione mi viene subito in mente Julien Sorel de “Il Rosso e il Nero” e la sua arringa finale ai giudici: è gonfia di ardore e rivendicazioni, ma malgrado tutto il pathos di cui è carica non serve a cambiare l’esito del processo; anzi, si può dire che in una certa misura il pathos sia dato proprio dalla consapevolezza della sua inutilità e impotenza. In questo senso rispecchia la natura ambivalente di un sentimento complesso come l’indignazione, che Stendhal ha saputo cogliere e magistralmente drammatizzare.
Photo by Úrsula Madariaga from Pexels