Innovare è un lavoro duro, ma (per fortuna!) qualcuno ancora lo fa – intervista a Davide Rissone

La nuova corrente letteraria Iper-realismo-pop (il cui manifesto è reperibile online all’indirizzo iper-realismo-pop.blogspot.com) si valorizza grazie alla recente pubblicazione della raccolta di racconti Episodi bizzarri ma circoscritti (Edizioni La Gru – settembre 2017) ad opera del fondatore Davide Rissone.

Circa un anno fa, lo stesso Rissone ci aveva spiegato l’identità dell’Iper-realismo-pop in questa intervista. E oggi sono contenta di incontrare di nuovo questo autore dotato di personalità, a cui non interessa far bene un compitino per paura di sbagliato ma che si assume la responsabilità di innovare.

  1. Davide, quanto è stato difficile trovare l’editore giusto con cui affrontare questo particolare progetto?

L’editoria italiana non offre molti spazi e opportunità agli scrittori e tanto meno a lavori sperimentali proposti da esordienti. Per fortuna esistono alcune realtà, piccole è vero, ma coraggiose, che vogliono ancora oggi dare fiducia e scommettere sulla letteratura meno mainstream. La Gru è senza dubbio una di queste. Una casa editrice, tra l’altro, con un solido passato e che porta avanti, senza scendere a compromessi, il proprio progetto e la propria idea. L’auspicio è ovviamente che possano continuare a esistere alternative in cui esprimersi liberamente, sperimentare sempre nuove forme d’espressione e in cui tenere fede all’obiettivo ultimo: usare al meglio il linguaggio per raccontare il mondo, il proprio in primis ma in fondo quello di tutti noi.

 

  1. Come è stato il confronto con il mondo dell’editoria? Avere uno stile sperimentale ti ha creato delle difficoltà – penso ad esempio al rapporto con l’editor?

Devo ammettere che Massimiliano Mistri, direttore editoriale La Gru, mi ha lasciato quasi carta bianca. Gli interventi sul testo hanno riguardato soprattutto la forma, mentre lo stile e le idee hanno goduto di estrema libertà. Alcuni racconti inclusi, per mia scelta, seguono un andamento e hanno una struttura piuttosto lineare che in qualche modo assecondano più un’esigenza espressiva e meno una volontà di sperimentare. Ma questo credo sia normale, soprattutto all’interno di un lavoro così eterogeneo come il mio libro.

 

  1. Da cosa deriva la scelta di chiamare i tuoi racconti “episodi”? E che cos’hanno di bizzarro e cosa di circoscritto?

“Episodi” perché la vita ne è costituita da una serie infinita a cui ogni giorno ognuno di noi tenta di dare un senso. Delle volte ci riusciamo altre no, ma anche quando falliamo non gettiamo la spugna e ci riproviamo con il successivo e con quello dopo, e così via fino al giorno in cui, miracolosamente, tutto torna (o quasi) e allora ci diciamo che la nostra vita, dopotutto, un senso ce l’ha. “Bizzarri” perché ogni racconto riguarda un momento, in qualche modo, strano, sopra le righe, bizzarro appunto. Una circostanza che in funzione della sua stranezza ci costringe a considerare qualcosina di più. “Circoscritti” perché, per fortuna mi verrebbe da dire, sono momenti limitati nel tempo. Dico per fortuna perché se la vita fosse composta solo da circostanze del genere sarebbe troppo faticosa, quasi ingestibile. Ma al tempo stesso sono proprio questi attimi che ci permettono di cogliere la complessità.

 

  1. L’episodio intitolato “Corde” è scritto in forma di testo musicale, che tipo di melodia immagini come accompagnamento?

Corde è stato scritto in Spagna, precisamente in una bellissima piazza di León in cui ho incontrato un ragazzo che suonava la sua chitarra appoggiato a un muretto di pietra. Io stavo tornando verso casa quando mi sono accorto di lui e per qualche inspiegabile ragione ho sentito il bisogno fermarmi ad ascoltarlo. Oltre a suonare da dio, aveva uno stile particolarissimo per il quale le corde venivano suonate alternativamente senza soluzione di continuità di modo che quando una era sul punto di fermarsi, la mano del ragazzo tornava a sfiorarla per ridarle forza. Era come se ognuna seguisse un proprio ritmo ma tutte contribuissero ad un’unica musica. Non so, sono rimasto incantato una buona mezz’ora a osservarlo e quando mi sono destato ho cominciato a scrivere il racconto. Se non ricordo male ci siamo anche messi a fare due chiacchiere. Non rammento, però, il suo nome né tantomeno quali canzoni abbia suonato o il tipo di musica.

 

  1. Il proposito relativo alla stesura del primo romanzo iper-real-pop è ancora in cantiere?

In realtà il romanzo è pronto. Ho deciso, però, di presentarlo al Calvino prima di sottoporlo alle case editrici. Vorrei sondare un po’ il terreno. Staremo a vedere. A giugno 2018 saprò dirti. Di certo è un lavoro a cui tengo molto, che ha comportato molta fatica e che mi auguro possa ricevere una  buona accoglienza. Nel frattempo ho tutto l’anno per promuovere al meglio la raccolta appena uscita in cui ci sono comunque un bel po’ di elementi di iper-realismo-pop.

 

  1. Hai trovato nuovi “adepti” iper-realisti-pop? Quali caratteristiche dovrebbe avere un membro doc?

Diciamo che ho ricevuto più sostegni che richieste di adesione. Ma in fondo già lo sapevo. La riflessione in Italia attorno alla letteratura è piuttosto sterile se non quasi inesistente fuori dal recinto della critica letteraria ufficiale. Dai numeri (più di 63000 libri pubblicati ogni anno in Italia) pare che sempre più persone ambiscano a scrivere. Ahimè però, da quello che ho potuto constatare più per condividere un’esperienza che per raccontare davvero qualcosa. E qui sta il punto. Quando si scrive bisognerebbe tenere a mente il motivo per il quale si è sempre scritto e lo si continua a fare senza sosta, ovvero narrare un pezzetto della propria vita capace di donare senso ad un’esistenza intera. Perché quel pezzetto, per quanto piccolo o insignificante possa apparire agli altri, se per noi al contrario è tutto, puoi starne certo che arriverà anche a coloro che in un primo momento non ne coglievano la portata. A patto certo che sia proprio quello giusto. E quando lo si è trovato credo sia normale domandarsi quale possa essere il modo migliore con cui raccontarlo, il più incisivo, quello che meglio lo interpreta e ne restituisce il significato ultimo. Ma se al contrario si scrivere per rendere partecipi gli altri dell’intera nostra vita, come di fatto credo faccia il 95% della letteratura pubblicata, non solo si viola una dei principi fondamentali del narrare, ma soprattutto non ci si curerà più di tanto del modo con cui farlo. Credo sia per questo motivo che in pochi parlano di letteratura al di là delle convenzioni acquisite o a prescindere da queste. In pochi hanno voglia di scardinare le modalità consolidate nel tempo di scrivere. E a pensarci bene è un vero paradosso perché in un tempo così fecondo di aspiranti narratori dovrebbe fiorire un’altrettanta varietà di stili, forme e registri capaci di rappresentare la mole infinita di storie che quotidianamente vengono prodotte e riprodotte. Non per questo però ho intenzione di desistere nella mia ricerca di innovazione, nel mio tentativo di trovare una voce all’interno della folla urlante entro cui tutti siamo confinati nella speranza, auspico non vana, di riuscire a ritagliarmi uno spazio d’espressione tutto mio. Tale spazio è quello che mi ha concesso La Gru e per questo colgo l’occasione per ringraziare profondamente.

Author: MelaniaMieli

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